ROMA - È la 'sorpresa' che nessuno si aspettava, neanche i diretti interessati: «il primo atto del nuovo governo sarà eliminare lo stipendio dei ministri» che sono già parlamentari.
L'annuncio lo dà Enrico Letta all'Aula chiedendo la fiducia per il suo esecutivo e spiegando che si tratta di «una cosa che non sanno nemmeno i responsabili dei dicasteri». E a guardare i volti dei suoi 'colleghi' è vero. Angelino Alfano e Emma Bonino fissano sorpresi il premier mentre parla ma, dopo un secondo, sorridono e approvano. La 'mossà riesce anche nell'impresa di strappare un applauso ai parlamentari del M5S che per tutto il discorso di Letta non hanno mai dato cenni di approvazione, ad eccezione del passaggio sulla solidarietà ai carabinieri vittime della sparatoria di ieri a Palazzo Chigi. Il presidente del Consiglio utilizza parole come «decenza, esempio, sobrietà, scrupolo». Vuole dare il senso del 'cambiamentò. E per realizzarlo - spiega alla sua maggioranza - «ognuno deve fare la sua parte». «È stata una sorpresa ma sono completamente d'accordo», esordisce il neo ministro Nunzia De Girolamo con un sorriso di piena approvazione. «La politica deve dare il buon esempio e sono contenta di poter essere espressione di questo governo che taglia lo stipendio ai suoi ministri». Non nasconde la sorpresa neanche Cecile Kyenge, ministro per l'Integrazione ma anche da lei arriva un apprezzamento: «È una misura che va incontro alla esigenze del Paese in questi momenti. Un atto positivo». Al suo debutto da ministro delle Pari opportunità, Josefa Idem si limita ad un eloquente 'pollice alzatò per commentare con i cronisti la decisione di Letta.
FIDUCIA OTTENUTA Il governo di Enrico Letta ottiene la fiducia alla Camera con 453 sì, 153 no e 17 astenuti. I presenti sono stati 623, i votanti 606 e la maggioranza richiesta era di 304 voti
FINE DEL DISTACCO La 'mossà' del premier punta a porre freno al clima di distacco dalle istituzioni, a recuperare un rapporto di fiducia con «la gente». Un concetto che il ministro per la Pubblica Amministrazione Giampiero D'Alia sintetizza così: «Servono soprattutto gesti e atti coerenti per dare una risposta ai cittadini - sottolinea - E il primo gesto concreto lo abbiamo fatto eliminandoci lo stipendio e garantendo un sostegno al reddito degli italiani più deboli». Ecco quelle misure anticasta che puntano anche a 'togliere benzinà al Movimento Cinque Stelle. I parlamentati stellati, infatti, non possono far altro che approvare, limitandosi ad osservare che il loro arrivo a Montecitorio «produce qualche risultato». «Vedremo se alle parole seguiranno i fatti», afferma Riccardo Nuti, vicepresidente dei deputati 'cinque stellè. La misura che il governo Letta adotterà prevede il taglio completo dello stipendio di quei ministri eletti a Camera o Senato e, per questo, percepiscono lo stipendio da parlamentare. I più penalizzati, perciò dovrebbero essere proprio i due 'capifilà, Enrico Letta e Angelino Alfano: il primo dovrebbe rinunciare allo stipendio di premier, il secondo a quello di ministro dell'Interno e a quello di vicepremier. Forse, per questo motivo, simpaticamente Letta dopo aver svelato la sorpresa ha dato, sorridendo, un pacca sulla spalla ad Alfano. Tagli agli stipendi dei ministri erano stati proposti dal ministro Giulio Tremonti, con la collaborazione del ministro Roberto Calderoli, durante il governo Berlusconi nel 2010 ed ancora nel 2011. Si trattava di misure inserite a margine delle manovre economiche. Ci provò lo scorso anno anche il governo Monti. Ma tutti i tentativi, per un motivo o per l'altro, non sono mai arrivati a compimento.
M5S: "NO FIDUCIA A LETTA" Il M5S non voterà la fiducia al governo Letta. Lo ha annunciato il vicepresidente dei deputati del M5S, Riccardo Nuti.
I MERCATI PROMUOVONO LETTA Pollice alto dai mercati finanziari al governo di larghe intese guidato da Enrico Letta, mentre Standard & Poor's conferma il rating sull'Italia a BBB+ ma avverte sui rischi che possono impedire la ripresa economica nella seconda parte dell'anno. Nella prima ed importante asta di titoli di Stato dopo la nascita del nuovo esecutivo, il Tesoro vende facilmente tutti i 6 miliardi di Btp a 5 e 10 anni, con tassi in calo ai minimi da ottobre 2010. Sulla scadenza decennale via XX Settembre spunta un interesse del 3,94% rispetto al 4,66% pagato in precedenza, mentre su quella quinquennale paga un tasso del 2,84% contro il 3,65% di marzo. La domanda complessiva supera gli 8 miliardi di euro. Sulla scia dell'ottimo risultato del collocamento, lo spread tra il Btp e il Bund tedesco archivia la seduta in netto calo a 270 punti base dai 285 punti di venerdì. Il tasso sul decennale italiano scende al 3,91%, vicino ai minimi di oltre due anni fa. Sui mercati azionari europei Piazza Affari è maglia rosa con un rialzo del 2,2%, staccando Madrid (+1,85%), Parigi (+1,54%), Francoforte (+0,75%) e Londra (+0,49%). Il Ftse Mib salendo a 16.929 punti, tocca la quota più alta dal 1 febbraio scorso. Il nuovo Governo «dal punto di vista dei mercati, è meglio di molte alternative considerate», non solo negli ultimi giorni, «ma anche prima delle elezioni», afferma Credit Suisse in un report, aggiungendo che questo esecutivo «ha più forza di durare di quanto si ammetta» e «il rischio di elezioni anticipate nei prossimi 12 mesi è estremamente basso». Ma se i mercati finanziari brindano alla nascita del nuovo governo dopo due mesi di stallo politico, Standard & Poor's dice di vedere «rischi significativi» sulla ripresa economica italiana, aggiungendo che «non è chiaro se la nuova coalizione di governo potrà attuare riforme pro-crescita». Secondo l'agenzia di rating «le parole iniziali di Letta suggeriscono un'intenzione a rallentare» sul consolidamento di bilancio piuttosto che un cambio di rotta. E proprio sulle prospettive dell'economia reale, le aziende italiane continuano a vedere 'nerò. Questo mese infatti l'indice composito del clima di fiducia delle imprese del Belpaese, rilevato dall'Istat, è sceso a 74,6 punti da 78,5 di marzo, precipitando al livello più basso da oltre dieci anni, ossia da gennaio 2003 quando si diede inizio alle serie storiche. Il 'pessimismò avanza soprattutto nel settore manifatturiero, dei servizi di mercato e delle costruzioni; mentre solo nel commercio al dettaglio la fiducia migliora. Le condizioni delle imprese italiane «risentono della fase ciclica negativa», afferma Bankitalia nel rapporto sulla stabilità finanziaria, spiegando che «il flusso di nuove sofferenze sui crediti è aumentato», mentre l'offerta di credito è frenata «dalla rischiosità dei debitori» e rallenta anche la domanda. Via Nazionale sottolinea quindi quanto sia «cruciale garantire la riduzione dei tempi di pagamento» della P.a. entro «i limiti di 30-60 giorni fissati dalla direttiva Ue» per ridare ossigeno alle Pmi.
STOP IMU, REDDITO MINIMO PER BISOGNOSI Bastano due passaggi del discorso di Enrico Letta per tranquillizzare gli 'alleatì e far saltare contestualmente 6 miliardi di entrate: 4 nel caso in cui si cancellasse l'Imu sulla prima casa e 2 per il mancato aumento dell'Iva ordinaria che scatterebbe viceversa a luglio. Ma - sottolinea il premier chiedendo la fiducia a Montecitorio - «non c'è più tempo» e bisogna intervenire. Annunci salutati con favore anche dalle imprese, perchè «vanno nella giusta direzione per ridare fiducia a imprenditore e famiglie», come sottolinea Carlo Sangalli, presidente di Rete Imprese Italia. Questo breve passaggio, lo stop dei pagamenti Imu a giugno, viene particolarmente enfatizzato e commentato dai capannelli a Montecitorio. I più esperti fanno i conti a spanne sulle intenzioni del nuovo esecutivo: la cifra minima che esce è di 10 miliardi tondi. Quello più corposo è proprio lo stop all'Imu: se si trattasse della sola prima rata mancherebbero 2 miliardi, se fosse tutta l'imposta sulla prima casa 4 miliardi. E se poi, come insiste il Pdl, si andasse anche alla restituzione di quanto versato nel 2012 sarebbero 8 miliardi. Ma Letta per il momento parla di 'revisionè dell'imposta. Quindi si vedrà. Il neo premier si impegna anche sull'Iva: evitare l'aumento costerà 2 miliardi già a bilancio. Quindi anche lì bisognerà capire come coprire l'intervento. E anche la Tares 'premè: fermarla costerebbe 1 miliardo. E poi c'è da fare i conti con il lavoro. Letta parla di alleggerirne il peso fiscale ma non è chiaro di quanto: quello che è chiaro è che una pressione ai livelli di quella attuale è il primo ostacolo, insieme alla burocrazia, alla creazione di nuovi posti. Ma la lista nel suo intervento è lunga (dagli interventi per le ristrutturazioni al lavoro dei giovani) e insomma alla fine è ipotizzabile a breve, prima dell'estate, un intervento (non manovra, perchè il pareggio di bilancio è già assicurato dagli interventi di Monti) da minimo 10 miliardi. E le risorse? Anche Letta guarda alla 'montagnà dell'evasione (120 miliardi l'anno): «basta sacrifici per i soliti noti: questo significa ferrea lotta all'evasione, ma senza che la parola Equitalia faccia venire i brividi alla gente». Insomma non poche grane per il neoministro all'Economia, Fabrizio Saccomanni non a caso già al lavoro a via XX Settembre e che, come il premier, ha più volte condiviso l'esigenza di ridurre il peso del fisco per far partire la ripresa. Da inquilino di Via Nazionale, Saccomanni ha sottolineato la necessità di una riallocazione del carico fiscale, con la riduzione delle imposte su lavoro e imprese, finanziata con fondi che arrivano dalla riduzione delle spese improduttive e, appunto, dall'evasione e, come dichiarato in passato, «caricando le quotè più alte di reddito e ricchezza del Paese». Una soluzione che però deve trovare l'accordo di tutte le forze politiche che siedono al governo. Lo stesso Saccomanni, in passato, non ha mai chiuso la posta alle dimissioni del patrimonio pubblico, ma ha sempre sottolineato che bisogna valutare come utilizzare le risorse che possono essere utilizzate dalle privatizzazioni, da convogliare immediatamente alla riduzione del debito. Molte quindi sono le incognite e molte «le difficoltà legate alle risorse di bilancio», ammette lo stesso Letta. Con un problema enorme all'orizzonte che si chiama debito pubblico. Ma ora dopo la premessa bisogna 'farè la crescita appunto. Il tutto con un occhio verso Bruxelles, che sta allentando il cordone del rigore: «nelle sedi europee - dice - individueremo le strategie per arrivare alla crescita senza compromettere il risanamento della finanza pubblica».
ABOLIRE LE PROVINCE Si approssima a grandi passi l'ora zero delle Province. Il count down per la loro abolizione, in verità nell'aria ormai da tempo, ha preso ufficialmente il via oggi alla Camera con le parole del presidente del Consiglio Enrico Letta, che nel suo discorso di investitura ha ufficializzato la cancellazione definitiva degli enti. E non rimarrebbe neanche in vita un'ipotesi di ente di secondo livello, a cui stava lavorando ormai mesi fa con un dl l'ex ministro per la P.A. Filippo Patroni Griffi, naufragato il 10 dicembre scorso in Commissione Affari Costituzionali del Senato. Ma le Province, attraverso il presidente dell'Upi Antonio Saitta, non demordono, e rilanciano chiedendo di far parte della Convenzione Costituzionale. Oggi alla Camera il presidente del Consiglio non ha usato giri di parole e ha affermato che «le Province vanno abolite», anche se per agevolare questo processo «si può pensare a una riorganizzazione delle Regioni». Tranchant il parere di alcune forze politiche, come il Pdl. Daniela Santanchè al termine dell'intervento di Letta ha tenuto a ricordare che «l'abolizione delle Province era nel programma del Pdl e a questo punto spero che il premier tenga a fede a quanto detto oggi in Aula nel suo discorso di investitura». Deciso ma con qualche sfumatura il parere di Lorenzo Dellai, capogruppo alla Camera di Scelta Civica ed ex presidente della Provincia autonoma di Trento. «Per le Province ordinarie è giunto il tempo di un ripensamento», ha spiegato. «La strada giusta è l'abolizione ad eccezione però dei territori montani, dove il tema dell'area vasta è ancora non risolto. Bisognerà pensare a qualcosa di più innovativo delle comunità montane». Qualche paletto lo mette anche Mauro Guerra, deputato Pd e coordinatore nazionale dei Piccoli Comuni Anci: «l'abolizione delle Province va accompagnata con una riorganizzazione delle gestioni associate dei piccoli Comuni, perchè non si può semplicemente togliere di mezzo le Province assegnando le loro funzioni ai piccoli Comuni, e parlo di cose importanti, come la manutenzione delle strade, l'edilizia scolastica di 2/o grado e la pianificazione territoriale». Intanto le Province cercano di resistere e chiedono, per bocca del presidente dell'Upi Antonio Saitta, di poter dire la loro in sede di Convenzione Costituzionale. «Ci aspettiamo che la Convenzione affronti il tema del riordino istituzionale partendo dai dati reali della spesa pubblica italianà, ha esortato Saitta. »Se si decide di abolire le Province, che sono l'1% della spesa pubblica, e non si interviene sulle Regioni e sugli enti strumentali, che sono i veri centri di costo del Paese, che almeno lo si dica con onestà ai cittadini».
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