ROMA - Dopo la notte di riflessioni che il presidente della Repubblica Napolitano si è preso in seguito alle consultazioni, l'attesa è terminata con la conferenza stampa dal Quirinale.
Il presidente ha spiegato di non avere intenzione di dimettersi, quindi di portare a termine il settennato. «Continuo ad esercitare fino all'ultimo il mio mandato, non nascondendo al Paese le difficoltà che sto ancora incontrando e ribadendo la mia fiducia nella possibilità di un responsabile superamento della situazione che l'Italia attraversa».
Sul governo, dice, «persistono posizioni diverse», ma fa appello al «senso di responsabilità» e dice di aspettare «proposte da due gruppi ristretti» i cui nomi saranno svelati nel pomeriggio. Intanto «non può sfuggire agli italiani e alla opinione internazionale che un elemento di concreta certezza della situazione del nostro Paese è rappresentato dalla operatività del nostro governo tutt'ora in carica e non sfiduciato dal Parlamento». L'ipotesi di un ritorno alle urne appare per questo lontana: «È una questione che non mi interessa», ha detto il presidente ricordando che non può sciogliere le Camere.
LE POSIZIONI. Alle otto della sera, quando Giorgio Napolitano fa sapere che vuole prendersi ''qualche momento di riflessione'', il quadro politico è completamente mutato rispetto a venerdì: il Pd apre anche ad un governo del presidente: ''Gli esprimiamo profonda gratitudine e fiducia piena - dice Enrico Letta dopo le consultazioni - dicendo che non mancherà il nostro supporto responsabile alle decisioni che lui in queste ore prendera'''. A stretto giro arriva il Pdl: ''Ci rimettiamo con fiducia alle valutazioni del Presidente Napolitano''. Ma in realta' per tutto il giorno Berlusconi insiste sul governo politico di coalizione a guida Pd (Bersani o ''anche un altro candidato''), mentre Grillo assicurava che mai il M5S appoggera' tentativi altrui. E ora il Pdl mette agli atti che ''mai e in nessun caso il Capo dello Stato, nei colloqui con noi, ha preso in considerazione e quindi neppure avanzato ipotesi di cosiddetti 'Governi del Presidente' o 'istituzionali' o 'tecnici', che avrebbero visto comunque la contrarietà non solo nostra, ma della enorme maggioranza degli italiani, dopo la fallimentare esperienza del governo Monti''.
IPOTESI DIMISSIONI. Da qui anche l'ipotesi di dimissioni del presidente della Repubblica nel tentativo di superare lo stallo politico e istituzionale in cui si sono avvitati i due più grandi partiti. Una carta che potrebbe essere riposta se venissero meno i veti reciproci su un governo del presidente o di scopo. Fonti parlamentari riferiscono che in questo contesto il presidente della Repubblica, durante le consultazioni avrebbe espresso il desiderio che le principali forze politiche si siedano attorno ad un tavolo per trovare un accordo su alcuni limitati punti programmatici. E un appello in questo senso potrebbe essere lanciato, spiegano le medesime fonti, proprio dal Colle. Resta la chiusura del Pdl, con Alfano che affonda ''il tentativo del Pd di scaricare su altri responsabilità che sono tutte e solo sue e' una ulteriore prova della mancanza di visione e di sensibilita' all'interesse nazionale di Bersani, del suo partito e dei suoi alleati. e il Pd ora raccoglie cio' che ha seminato''. Ma il Pd, con Enrico Letta, consegna il cerino in mano agli avversari politici: ''con rammarico abbiamo ascoltato i troppi no pronunciati in questi giorni, compresi quelli al governo istituzionale e del presidente pronunciati oggi, e quelli detti a Bersani, rischiano di negare la possibilità che il cambiamento possa effettivamente avvenire''.
ALLERTA MERCATI. Ma martedì, alla riapertura dei mercati, il quadro dovrà essere chiaro e sarà Napolitano a dover scegliere: la strada più probabile è quella di un governo del presidente (con a capo uno dei nomi circolati: Saccomanni, Cancellieri, Giovannini, Gallo), ma resta persino possibile che il Capo dello Stato decida di mandare Bersani alle Camere (ipotesi improbabile ed indebolita dalla apertura del Pd al governo scelto dal Capo dello Stato). Cosi' come va registrata la voce - circolata per tutto il giorno nei Palazzi della politica ma smentita con fermezza dal Colle - che possano arrivare a sorpresa le dimissioni di Napolitano, per lasciare ogni decisione ad un Capo dello Stato non 'indebolito' dal semestre bianco e quindi in grado di sciogliere le Camere per andare subito al voto. E' certo invece che non ci sara' ne' un governissimo (per la chiusura netta del Pd), ne' una convenzione per le riforme (stavolta per il no del Pdl, nonostante il Pd insista nel dire che ''quello e' l'unico luogo della legittimazione reciproca'' e che non si puo' tornare al voto con il porcellum).
CHICKEN GAME. Sara' una Direzione all'inizio della prossima settimana a sancire l'accettazione da parte del Pd del cosiddetto ''piano B'', rispetto al tipo di governo che voleva formare Pier Luigi Bersani e che l'ultima Direzione aveva appoggiato all'unanimita', pur con lo scetticismo da parte di diverse componenti. Questo passaggio non sara' senza conseguenze interne, con il riaccendersi gia' oggi di un dibattito precongressuale. Molti infatti accusano Bersani di aver costretto il partito ad un ''Chicken game'', il gioco di chi salta per ultimo correndo verso il burrone, baratro nel quale pero' sarebbe finito proprio il segretario. E' stato il fuoco di dichiarazioni partite gia' in mattinata a dare il polso degli umori in casa Democrats, specie dopo il ''niet'' di Berlusconi. Mentre Debora Serracchiani diceva che il ''piano B del Pd si chiama Matteo Renzi'' da richiamare alle armi ''subito'', Davide Zoggia, membro della segreteria definiva ''inopportune'' le parole dell'eurodeputata, mentre il ''giovane turco'' Matteo Orfini parlava di ''follia''. Quando nel pomeriggio anche i capigruppo di M5S hanno sbattuto la porta in faccia al Pd, e' scattato un senso di frustrazione per aver inseguito inutilmente Grillo.
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